Se gennaio facesse un rebrand potrebbe ragionevolmente scegliere “buoni propositi” come nuovo nome e “che non realizzerò” come payoff.
Il primo mese dell’anno, con le sue promesse di cambiamento e rinnovamento, i decluttering, le to do list infinite e i “quest’anno farò” è, nella mia personalissima classifica, secondo solo a dicembre per livello estremo di rottura di anima.
Questo non sarà, quindi, un post su mille modi per farti venire l’ansia a inizio anno, ma una riflessione non troppo ordinata sul senso che diamo al presente quando guardiamo al futuro.
Perché proprio a gennaio?
A dicembre il bilancio e a gennaio i buoni propositi. Ogni anno una pianificazione della vita come se le nostre esistenze fossero aziende di cui valutare utili e costi.
Se non lavori in proprio, per cui un po’ di questo supplizio lo devi subire perché l’attività funzioni, questo appuntamento fisso per tirare le somme della vita potrebbe starti un po’ stretto e non avere molta utilità.
Gli appuntamenti comandati per fare il punto con se stessə tendono a non essere particolarmente efficaci. Soprattutto se spingono a stare sulla giostra della performance in cui il proprio anno viene valutato sulla base della “produttività” nell’uso del tempo.
Riempire il tempo
A che bisogno risponde pianificare?
Lo chiedo a te come me lo sono chiesta io.
Ho la sensazione che questo strutturare la vita, pianificare, ingabbiare il tempo futuro perdendo di vista l’oggi racconti di una difficoltà molto diffusa:
“il disagio di non avere uno spazio sacro, libero dall’ansia da prestazione” (Gancitano e Colamedici, Società della performance)
Siamo costantemente alla ricerca di tempo libero eppure quando lo abbiamo non sappiamo come riempirlo, ma nemmeno come dargli spazio e aria per respirare, per pensare, per fermarsi.
Partire da quello che c’è
Siamo abituati a pensare che dovremmo correggere, cambiare, modificare, controllare quello che c’è.
Tendere a una costante versione migliore di noi stessə. Perfezionare la nostra performance esistenziale.
Mi manca l’aria solo a scriverle queste considerazioni, eppure quanto pervasiva è questa visione della vita?
Quanto spesso ti fermi a guardare e stare con quello che c’è nella tua quotidianità, quello che ti piace, che ha senso per te, che ha reso la tua esperienza fin qui degna di essere ricordata?
Quanto spesso ti concedi il diritto di dirti “va bene così, non c’è nulla da migliorare, posso fermarmi un attimo”?
L’obiettivo di queste domande è quello di osservare ed osservarsi con più flessibilità, senza giudizio, non con l’ottica di accontentarsi e rassegnarsi, ma di accettare e accogliere, per ridurre un poco la pressione su di sé.
Senza perdere di vista il futuro
Quando abbiamo osservato da vicino il nostro presente, andando alla ricerca di ciò che già abbiamo e che va bene, possiamo spostare lo sguardo sul domani e su cosa vogliamo che resti o cambi, evolva o sedimenti.
Insieme al bisogno di stare con quello che c’è, con quello che funziona per noi, abbiamo bisogno di futuro, una necessità resa ancora più pressante da questi due anni traumatici in cui la nostra progettualità è diventata contagi-dipendente.
Abbiamo bisogno di gettare il cuore oltre il domani verso un tempo più lontano.
Abbiamo bisogno di coltivare speranza.
Abbiamo bisogno di progetti.
Progetto: dal latino pro avanti jacere gettare. Ciò che viene gettato avanti.
Propositi vs progetti
Progetto è una parola preziosa, condivide con proposito il concetto di porre davanti, ma la sfumatura che distingue i due termini è vitale.
Pro-porre, appoggiare davanti a sè una possibilità, spesso un dovere vestito da desiderio, contro pro-gettare, spingersi in fuori, dare energia al movimento, perdere l’equilibrio nel buttare avanti un bisogno, desiderio, passo nuovo per sé e per la propria vita. Mentre il proposito pone, il progetto getta. La differenza sta tutta lì, nel movimento.
Sono i progetti quelli che hanno bisogno di spazio, e non a gennaio, tutto l’anno. Sono le azioni, gli equilibri mancanti perché ci siamo gettatə avanti nel tentativo di aggrapparci a un domani in cui crediamo, anche se sembra sfumato e nebbioso.
Sono gli slanci di fiducia nel futuro.